Il trapianto di midollo osseo (o più modernamente di cellule emopoietiche staminali) consente di guarire molti pazienti affetti da malattie maligne del sangue (leucemie acute, leucemia mieloide cronica, linfomi maligni, mieloma multiplo), aplasia midollare e numerosi difetti congeniti tra cui la talassemia, meglio nota come anemia mediterranea. L’organo da trapiantare è quindi rappresentato dalle cellule
staminali emopoietiche, una sorta di cellule madri in grado sia di autoriprodursi che di differenziarsi, attraverso tappe maturative che avvengono all’interno del midollo osseo medesimo, in globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Il trapianto consiste nell’infusione direttamente nel sangue (come se fosse una trasfusione) di queste cellule in un paziente che è stato però preparato con opportuna terapia. Per oltre 30 anni, sin dalla prima applicazione clinica su larga scala, il trapianto è stato forzatamente limitato a pazienti con donatore HLA-identico. Il donatore identico è in genere un fratello/sorella che ha ereditato dai genitori la stessa sequenza genica del paziente. La probabilità che due fratelli siano identici è limitata al 25% dei casi. Per tale motivo l’attenzione dei ricercatori si è rivolta ai cosiddetti donatori alternativi. Nel corso di questi ultimi 20 anni, il Centro Trapianti Midollo Osseo dell’Università e dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, ha messo a punto, dopo una lunga fase sperimentale nel modello murino condotta in collaborazione con il Dipartimento di Immunologia dell’Istituto Weizmann di Israele, una nuova strategia di trapianto che ha consentito per la prima volta di superare con successo la barriera dell’incompatibilità. I risultati in termine di guarigione variano, come in ogni tipo di trapianto di midollo, a seconda della malattia e della fase della malattia al momento del trapianto. Per pazienti in fase terminale la percentuale di guarigione non supera il 10%, mentre per i pazienti trapiantati in fasi più precoci di malattia si ottengono guarigioni intorno al 60%. Questo tipo di trapianto è oggi una realtà clinica che consente di prospettare ed effettuare il trapianto a tutti i pazienti che ne hanno indicazione indipendentemente dalla compatibilità.
staminali emopoietiche, una sorta di cellule madri in grado sia di autoriprodursi che di differenziarsi, attraverso tappe maturative che avvengono all’interno del midollo osseo medesimo, in globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Il trapianto consiste nell’infusione direttamente nel sangue (come se fosse una trasfusione) di queste cellule in un paziente che è stato però preparato con opportuna terapia. Per oltre 30 anni, sin dalla prima applicazione clinica su larga scala, il trapianto è stato forzatamente limitato a pazienti con donatore HLA-identico. Il donatore identico è in genere un fratello/sorella che ha ereditato dai genitori la stessa sequenza genica del paziente. La probabilità che due fratelli siano identici è limitata al 25% dei casi. Per tale motivo l’attenzione dei ricercatori si è rivolta ai cosiddetti donatori alternativi. Nel corso di questi ultimi 20 anni, il Centro Trapianti Midollo Osseo dell’Università e dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, ha messo a punto, dopo una lunga fase sperimentale nel modello murino condotta in collaborazione con il Dipartimento di Immunologia dell’Istituto Weizmann di Israele, una nuova strategia di trapianto che ha consentito per la prima volta di superare con successo la barriera dell’incompatibilità. I risultati in termine di guarigione variano, come in ogni tipo di trapianto di midollo, a seconda della malattia e della fase della malattia al momento del trapianto. Per pazienti in fase terminale la percentuale di guarigione non supera il 10%, mentre per i pazienti trapiantati in fasi più precoci di malattia si ottengono guarigioni intorno al 60%. Questo tipo di trapianto è oggi una realtà clinica che consente di prospettare ed effettuare il trapianto a tutti i pazienti che ne hanno indicazione indipendentemente dalla compatibilità.
Fonte: Unipg
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