Da italiani tecnica per creare protesi dentarie

Un gruppo di scienziati italiani della Seconda Universita' di Napoli ha sperimentato una tecnica per creare protesi dentarie umane, per uso autologo, ottenute dalle cellule staminali della polpa dentale, ricavate dal paziente stesso, per la rigenerazione ossea. La sperimentazione clinica nell'uomo, condotto dal gruppo di ricerca guidato da Gianpaolo Papaccio e' consistita nell'estrazione e espansione delle cellule staminali da polpa dentale dei terzi molari (denti del giudizio) di 17 pazienti che ne hanno richiesto la rimozione. Le cellule sono state poi seminate su un ponteggio di spugna di collagene. Il bio-complesso risultante e' stato utilizzato per popolare il sito della ferita lasciata dal dente rimosso. La valutazione ai raggi X, tre mesi dopo il trapianto, ha confermato che l'osso alveolare dei pazienti aveva una riparazione verticale ottimale e un completo restauro dei tessuti per i secondi molari. Secondo il team di ricercatori, questa procedura, pubblicata su Cells and Materials, rappresenta un nuovo strumento per l'ingegneria del tessuto osseo. ''E' la prima volta che la ricerca sulle cellule staminali dalla polpa dentale - ha detto Papaccio - si sposta dal laboratorio a test clinici sull'uomo. L'uso di queste cellule ha facilitato il trapianto, eliminando complicazioni immunologiche come rigetto o infiammazione, proprio perche' le cellule sono estratte dal paziente stesso''.
Fonte: Ansa

Convegno: La qualità della ricerca per la qualità della vita

Anche quest'anno, la Faip ha voluto porre in primo piano tra i temi che caratterizzeranno la Campagna "Si alzi chi può", le prospettive offerte dai recenti percorsi di ricerca sulle lesioni al midollo spinale, e le aspettative che moltissime persone paraplegiche e tetraplegiche stanno sempre più rivolgendo nei confronti di queste nuove, possibili terapie. Momento centrale per ribadire l'attenzione sulle questioni

Che cos'è la neurofibromatosi, un milione e mezzo di casi nel mondo

La neurofibromatosi è una malattia genetica multisistemica che colpisce indistintamente uomini e donne di ogni gruppo etnico. La malattia, 20mila casi in Italia e un milione e mezzo nel mondo, colpisce un bambino ogni 3 mila nati. Nella metà dei casi è ereditaria, nell’altra metà compare spontaneamente. Conosciuta anche come morbo di Von Recklinghausen, si manifesta in molte forme e si evolve in modi diversi nei singoli soggetti: può sviluppare tumori al cervello o epilessia, ritardo mentale, scoliosi, ipertensione; può dare problemi alle ossa che, se si rompono, non si saldano più. Ci sono diverse tipologie di neurofibromatosi, quelle più conosciute sono la Nf1 e la Nf2. Il primo caso si riconosce per le caratteristiche macchie color caffelatte, ma si manifesta poi con un complesso quadro clinico che oltre a cute e sistema nervoso può coinvolgere gli occhi, lo scheletro, le ghiandole endocrine e il sistema circolatorio. La Nf2 invece, più rara ma più grave, si manifesta generalmente intorno a i 18 anni e causa prevalentemente problemi neurologici, in particolare il neurinoma del nervo acustico, che deve essere asportato causando la sordità nella maggior parte dei pazienti. I neurofibromi compaiono poi su tutto il corpo, sopra e sotto la pelle, a volte anche sul viso. Possono assumere dimensioni considerevoli e in alcuni casi sono asportabili (anche se mai completamente), in altri casi no. Le aspettative di vita per quest’ultima tipologia di pazienti non vanno oltre i 40 anni, di media.

Via: Corriere della Sera

Staminali anti-invecchiamento per future terapie rigenerative

Come tutte le altre cellule anche quelle staminali, invecchiando, perdono le loro funzioni. Alcune università di oltreoceano (Ontario Cancer Institute, Burnham Institute for Medical Research e The Scripps Research Institute) e centri di ricerca privati (Biotime, Mandala Biosciences e Sierra Sciences) hanno ringiovanito per la prima volta cellule umane. Il segreto è in un cocktail di geni che, secondo gli esperti, potrebbe portare a future

Il virus dell'Aids si nasconde anche nelle staminali del sangue

E' stato scoperto un nuovo nascondiglio del virus dell'Aids: l'Hiv riesce ad annidarsi nelle cellule progenitrici del sangue, nelle quali può restare latente e indisturbato per anni. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Medicine, è del gruppo statunitense diretto da Kathleen Collins, dell'Università del Michigan. La caccia ai «nascondigli segreti» nei quali il virus si rifugia è in corso ormai da molti anni e, nel tempo, ha preso di mira ancora le cellule di polmoni, midollo, pelle, intestino, milza, cervello e sangue periferico. Anche le cellule progenitrici del sistema immunitario sono state individuate recentemente come probabili rifugi del virus Hiv.
Si tratta d'una scoperta importantissima. Riuscire infatti ad identificare questi «luoghi» potrà avere ripercussioni molto importanti sullo sviluppo di nuove strategie per combattere l'infezione ed eradicare il virus dell'Aids dall'organismo. Attualmente, infatti, non si può parlare di cura per l'Aids. La terapia antiretrovirale (Haart) è molto efficace, ma non riesce ad eliminare completamente il virus.
"In alcune cellule progenitrici del sangue - scrivono i ricercatori - abbiamo individuato un'infezione latente che si stabilisce in modo persistente in colture cellulari". Secondo gli studiosi, "queste scoperte potrebbero avere importanti implicazioni per comprendere il meccanismo con cui il virus Hiv causa infezioni persistenti". E' un'opportunità dunque per scoprire una possibile cura.
Fonte: Tiscali

La CCSVI per prevenire la Sclerosi Multipla

La causa o meglio le cause della Sclerosi Multipla sono ancora in parte sconosciute, tuttavia la ricerca ha fatto grandi passi avanti per chiarire il modo con cui la malattia agisce e quindi rendere possibile una diagnosi e un trattamento precoce per permettere alle persone con SM di mantenere una buona qualità di vita. Identificare il fattore o l’evento scatenante che innesca il primo episodio di malattia

Le cellule del cordone ombelicale per vincere contro la leucemia

Una speranza per la cura della leucemia viene da uno studio americano, che ha identificato nelle cellule immunitarie NK fatte crescere dal sangue del cordone ombelicale una possibile via di cura. Le cellule immunitarie NK (natural killer) sono state prelevate dal sangue del cordone ombelicale da un team della University of Texas , diretto dal Dr. Patrick Zweidler-McKay, e sono state fatte moltiplicare in laboratorio. Poi queste